Il settore HR, come gran parte degli ambiti lavorativi, nel 2021 è stato senza alcun dubbio influenzato dalla pandemia COVID-19. L’emergenza attuale ha modificato il nostro modo di pensare ma soprattutto di agire. Le varie organizzazioni hanno dovuto rivedere le loro priorità e, soprattutto, cambiare mentalità per adattarsi e cercare di non farsi travolgere dalle difficoltà. La resilienza è entrata a far parte della vita di tutti noi, ci ha reso più forti e pronti a reagire.
Per comprendere in che modo le Aziende abbiano e stiano ancora contrastando questa situazione, analizziamo insieme i trend del mondo HR e le priorità su cui dovranno focalizzarsi i responsabili delle risorse umane dal 2021 in poi. Molte di queste prassi erano già in atto precedentemente e la pandemia si è limitata ad accelerarle, altre invece sono una diretta conseguenza del contesto che stiamo vivendo.
Abbiamo raccolto i trend principali e a ciascuno di essi dedicheremo un approfondimento mirato nei prossimi articoli della sezione News
1.Il Focus è sempre di più sul benessere dei dipendenti
Il 2020 è stato un anno “sui generis”, le Aziende sono diventate il punto di riferimento di dipendenti, famiglie e fornitori. Quasi tutte hanno intrapreso, pertanto, iniziative per la salute e la sicurezza dei lavoratori, come cambiamenti nell’organizzazione del lavoro per conciliare le esigenze di vita familiare dei dipendenti.
In poche parole, le Aziende sono diventate la colonna portante della nostra società.
Un esempio che spiega in maniera lineare la situazione è il fenomeno del work – life balance: la capacità di bilanciare gli impegni personali con quelli riguardanti la sfera professionale. Un corretto equilibrio sembra influire positivamente, secondo il Sole24ore, sulla produttività del lavoro (+34,4%), sulla fidelizzazione dei dipendenti (+38,5%) e sul clima aziendale in generale, contribuendo per il 38,7% a migliorare l’immagine e la reputazione dell’azienda.
Ecco perché, nei prossimi anni, il 48,7% delle imprese prevede di aumentare il proprio impegno nei confronti di iniziative volte a promuovere un miglior bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata per i dipendenti.
Approfondiremo prossimamente questo aspetto con un articolo dedicato per portare alla luce tutte le potenzialità di questa tematica, che toccano sia il punto di vista del lavoratore che quello del Management aziendale.
2. Il ruolo degli HR: sempre più specialisti
In un mercato che punta alla ricerca di figure professionali sempre più specializzate, ci si aspetta che anche le qualità di un buon esperto delle risorse umane vadano di pari passo.
Possiamo riassumere 4 principali caratteristiche che non possono mancare agli specialisti delle Risorse Umane, portatori di valore aggiunto all’interno dell’organizzazione aziendale:
Conoscenza a 360º delle Risorse Umane:
La conoscenza delle più innovative pratiche in ambito HR si traduce molto spesso nell’applicazione di strategie aziendali vincenti. In quest’ottica, sono sempre di più le aziende che puntano a dotarsi di specialisti HR al passo con i tempi: figure come HR analytics, esperti di employer branding, talent acquisition ed engagement dei dipendenti ecc.
Organizzazione del lavoro digitale
Una caratteristica fondamentale è quella di saper indirizzare i propri collaboratori verso un’ottimizzazione del lavoro e lo svolgimento dei compiti quotidiani secondo le nuove priorità dettate da un contesto di lavoro digitale e a distanza, incoraggiandoli a dare il massimo e sostenendoli nei momenti di sconforto.
Doti da leader motivante
Il reparto HR è coinvolto in prima linea nella retention dei talenti, cioè nelle strategie da implementare per far sì che un dipendente sia motivato a rimanere in azienda. In un momento storico dove regna il lavoro da remoto e le relazioni interpersonali sono mediate dagli schermi, il professionista HR deve saper essere presente e guidare l’engagement e rafforzare il senso di appartenenza ed inclusione con nuovi strumenti digitali (ad es. team building virtuali).
Comunicazione
La comunicazione e il saper ascoltare e coinvolgere tutti i lavoratori in ciò che accade in Azienda è essenziale per avere un team coeso e impegnato verso un obiettivo comune.
3.Reskilling
Nell’affrontare il tema delle nuove priorità in ambito HR, dobbiamo considerare quello che oggi viene chiamato “reskilling” o, più semplicemente, riqualificazione professionale.
Nei prossimi dieci o al massimo venti anni, ben 375 milioni di lavoratori (circa il 14% della forza lavoro globale) dovranno reinventarsi o addirittura cambiare lavoro in un’ottica di maggiore digitalizzazione. Questo fenomeno è paragonabile a quello che è stato vissuto nel 1700 durante la Rivoluzione Industriale. La differenza è che all’epoca la popolazione aveva a disposizione decenni per “rivoluzionarsi”, noi dobbiamo reinventarci molto più velocemente.
Rivoluzione del lavoro
Un recente rapporto del World Economic Forum ha considerato questo argomento come cruciale per l’intera umanità e ha iniziato a stimare i costi da sostenere.
Il Bel Paese vanta la forza lavoro più anziana del mondo, dopo Giappone e Germania.
Secondo le rilevazioni Istat, oggi l’età media dei lavoratori italiani è di 44 anni e aumenta di circa 6 mesi ogni anno. Nel 2016 le previsioni del Fondo Monetario Internazionale indicavano che nel 2022 un quinto degli occupati avrà un’età compresa tra i 55 e i 64 anni, per diventare uno su quattro nel 2025. Questo significa che gran parte dei lavoratori impiegati oggi nel nostro paese si sono formati in un’epoca in cui non esisteva internet, non c’era Google e l’Intelligenza Artificiale era pura fantascienza.
Oltre al Reskilling, in un periodo come quello che stiamo vivendo, perdere risorse valide per l’Azienda può rivelarsi inoltre un grave danno per la competitività.
Lavoratori qualificati, lavoratori particolarmente efficienti o veri e propri talenti: queste tipologie di dipendenti sono un vero e proprio tesoro sul quale conviene investire.
Scopriremo come debba essere applicata la politica di benefit e retention nel prossimo approfondimento della nostra pagina News.
4.Rapportarsi con Generazione Z
Se gran parte della forza lavoro attuale non ha una formazione digitale, c’è però un’intera nuova generazione che sta bussando alla porta del mercato professionale: la Generazione Z, anche detta Gen Z, comprende i nati da metà degli anni ’90 al 2012. Un’intera classe generazionale ricca di esperti tecnologici che si stima rappresenti già circa il 20% della forza lavoro globale.
La Gen Z è anche la prima generazione nativa digitale. Gran parte della socializzazione avviene tramite messaggi di testo e piattaforme di social media; le interazioni faccia a faccia sono limitate e timide nel prendere le redini sul posto di lavoro.
Per questo la formazione e il recruiting di profili Z va interpretato e svolto in maniera differente. Si può puntare, ad esempio, su aspetti come:
- Investire sull’Employer Branding, cioè consolidare l’immagine e i valori aziendali per attrarre i migliori talenti;
- Adottare strategie di recruiting costruite su misura, sia a livello di contenuti che di piattaforme utilizzate;
- Dimostrare chiaramente l’importanza della formazione e della opportunità di crescita all’interno del contesto aziendale.
La Gen Z è attratta da un ambiente lavorativo dinamico, in cui poter crescere. Inoltre, è dotata di grande flessibilità, i giovani disposti a lavorare in orari fuori standard sono sempre di più, a patto di essere messi in condizione di apprendere nuove skills.
Fondamentale è la possibilità di crescita aziendale: la generazione nativa digitale è infatti accompagnata da una profonda paura di precarietà, conseguenza della società in cui siamo abituati a vivere.
In definitiva, tutti questi aspetti che ancora oggi faticano ad essere assimilati dalle organizzazioni come cruciali nei processi di recruiting, cambieranno velocemente posto nella scala dei valori di ogni dipartimento HR. Nella corsa per l’attrazione di competenze e talento, cesseranno di essere uno dei tanti strumenti a supporto delle risorse umane per diventare il primo e più importante patrimonio di ciascuna azienda.