Il ritorno al lavoro dopo le ferie in alcuni casi può essere difficile, tanto da creare la cosiddetta sindrome da rientro, da alcuni chiamata anche “post-vacation blues”.
Il fenomeno può essere ancora più accentuato in persone che, magari proprio solo durante le vacanze, hanno l’opportunità di rivedere amicizie e parenti rimasti nei luoghi di origine.
La sindrome da rientro non è una vera e propria patologia medica, ma una condizione psicologica da non sottovalutare e va affrontata con le dovute cautele.
Secondo l’Istat, in Italia riguarda oltre una persona su tre, con dati ancora più elevati nella fascia di età compresa tra i 25 e i 45 anni a tra coloro che svolgono attività di tipo intellettuale.
Ha qualche affinità con la “tristezza da lunedì”, che alcune persone avvertono al rientro al lavoro dopo il fine settimana, ma è molto più accentuata.
Le nuove patologie dell’età moderna
Se una volta la sindrome era dovuta soprattutto alla nostalgia per il tempo trascorso all’aria aperta e alla difficoltà a riabituarsi agli impegni lavorativi, negli ultimi tempi – soprattutto dopo il lockdown vissuto durate la pandemia – il problema è spesso collegato ad altri quali:
- burnout (inteso come uno stress persistente associato al contesto di lavoro):
- zoom fatigue (la stanchezza derivata da un’eccessiva frequenza di call);
- tecnostress (lo stress causato, in generale, da un abuso di strumenti tecnologici).
In alcuni casi, si registrano ancora strascichi di quella che è stata definita “sindrome della capanna”, nata nella prima fase post-Covid. Consiste nella difficoltà a lasciare le rassicuranti abitudini nella propria casa – dove si è lavorato in smart working o, in estate, si sono trascorse le vacanze – per reimmergersi in un contesto lavorativo tradizionale.
Attenzione al quiet quitting
Il disagio causato da questi fattori può manifestarsi in vario modo: ad esempio, con ansia, insonnia, malumore, malinconia, irritabilità, apatia, difficoltà di concentrazione e, in alcuni casi, anche cefalea.
Ciò può creare momenti di difficoltà alle persone e ripercuotersi sull’attività professionale.
Un fenomeno di cui si è iniziato a parlare negli ultimi tempi è il quiet quitting. Di cosa si tratta? È un atteggiamento che porta a un graduale e silenzioso allontanamento dall’azienda per cui si lavora.
La principale conseguenza è fare solo lo stretto indispensabile, senza entusiasmo e spirito propositivo, con l’obiettivo di far trascorrere rapidamente la giornata e appena possibile “fare cadere la penna”, per usare una metafora usata spesso.
Il fenomeno è più ampio di quello che si pensi: negli Stati Uniti, secondo quanto riportato in un articolo del Wall Street Journal, riguarda addirittura una persona su due.
I motivi che portano a questo atteggiamento possono essere diversi e, in base a uno studio della Alabama A & M University, derivano soprattutto da carenze delle leadership aziendali che portano a:
- promesse non mantenute;
- ambienti tossici e poco inclusivi;
- assenza di attenzione ai bisogni delle persone;
- mancanza di senso di appartenenza ed engagement;
- richieste eccessive di obiettivi da raggiungere, che incidono sul work life balance delle persone.
Chi ha come prospettiva rientrare dalle ferie in un contesto lavorativo del genere può incorrere più facilmente nella sindrome da rientro.
In questo caso, infatti, non si tratta solo di nostalgia del mare e del senso di libertà. ma soprattutto della difficoltà a ritornare in una situazione lavorativa vissuta in modo molto negativo.
Cosa fare? Alcuni suggerimenti per ripartire con slancio li abbiamo già proposti in passato, ma ciascuno può pensarne anche altri personalizzati, se li ritiene adatti.
Per affrontare un problema specifico come il tecnostress, ad esempio, bisogna imparare a disconnettersi e a vivere offline fuori dagli orari di lavoro.
Per vincere la nostalgia di un luogo dove si è stati si può iniziare a programmare un altro viaggio, magari leggendo libri su una località che si desidera visitare, liberandosi così da pensieri negativi. Lo stress da rientro, infatti, si manifesta soprattutto quando non si è in ufficio. È in quel momento che si rischia di cadere nella tentazione di rimuginare su aspetti di lavoro problematici.
In generale, invece di preoccuparsi bisogna occuparsi. Ad esempio, una sana attività sportiva porta sempre benefici non solo al corpo, ma anche alla mente, perché allontana qualsiasi forma di stress.
Al di là di quello che si può fare per aumentare il benessere, se il problema non è solo temporaneo, ma ha radici più profonde, occorre riflettere su come riprendere in mano la propria vita per ritrovare serenità ed equilibrio.
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