Con la Sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1571 del 12 marzo 2018, viene smentita la qualificazione di appalto di servizi assegnata da un Ente all’affidamento di una serie di attività di supporto all’azienda, ritenendo sussistente, sulla base della disamina delle prescrizioni di gara, un rapporto di somministrazione di lavoro.
La gara è stata dichiarata illegittima sia per la previsione di requisiti di ammissione propri esclusivamente delle imprese che svolgono appalti di servizi e non delle Agenzie per il lavoro, sia per non aver richiesto quali presupposti per la partecipazione al bando il possesso dell’Autorizzazione Ministeriale e la conseguente iscrizione all’Albo, propri della somministrazione di lavoro ex art. 4 del d.lgs. n. 276 del 2003, art. 30 del d.lgs. n. 81 del 2015 e art. 83, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016.
Gli indici della non genuinità di un “appalto”
La giurisprudenza della Corte di Cassazione identifica nei seguenti punti le caratteristiche di un affidamento formalmente qualificato come “appalto”, ma in realtà dissimulante una somministrazione di personale:
- la richiesta da parte del committente di un certo numero di ore di lavoro;
- l’inserimento stabile del personale dell’appaltatore nel ciclo produttivo del committente;
- l’identità dell’attività svolta dal personale dell’appaltatore rispetto a quella svolta dai dipendenti del committente;
- la proprietà in capo al committente delle attrezzature necessarie per l’espletamento delle attività;
- l’organizzazione da parte del committente dell’attività dei dipendenti dell’appaltatore (Cass. civ., sez. lav., 7 febbraio 2017, n. 3178).
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